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Luciano Lucini luciano a smapfil.it
Gio 27 Mar 2003 08:38:50 CET


Luciano 

Tanto per vi mando una lettera scitta da un ministo alla microsoft è un
po lunga ma interessante :

Open source, il Perù sale in cattedra e bastona Microsoft - Parte 2

Traduzione della risposta inviata da Edgar David Villanueva Nuñez a
Microsoft.

Lima, 8 aprile 2002 
Al Sig. JUAN ALBERTO GONZALEZ
General Manager della Microsoft Perù 

Egregio Signore, 

Prima di tutto La ringrazio per la Sua lettera del 25 marzo 2002, nella
quale lei esprime la posizione ufficiale di Microsoft relativamente alla
Proposta Numero 1609, Software Libero nella Pubblica Amministrazione,
chiaramente ispirata dal desiderio del Perù di trovare una posizione
fruibile nel contesto tecnologico globale. Nello stesso spirito, e
convinto che troveremo la miglior soluzione attraverso uno scambio di
idee chiaro ed aperto, coglierò questa opportunità per rispondere ai
commenti espressi nella Sua lettera. 

Pur riconoscendo che opinioni come le Sue rappresentano un contributo
significativo, questo sarebbe stato perfino più interessante per me se,
piuttosto che formulare obiezioni di natura generale (che analizzeremo
in dettaglio più avanti) Lei avesse raccolto solide argomentazioni circa
i vantaggi che il software proprietario potrebbe portare allo Stato
Peruviano, e in generale ai suoi cittadini, dal momento che ciò avrebbe
permesso un confronto delle nostre rispettive opinioni maggiormente
chiarificatore. 

Con l'obiettivo di organizzare la discussione, assumeremo che quello che
Lei chiama "software open source" è ciò che la Proposta definisce
"software libero", dal momento che esiste software che viene distribuito
insieme ai sorgenti, ma che non ricade nella definizione data dalla
Proposta; e che ciò che Lei chiama "software commerciale" è quello che
la Proposta definisce "proprietario" o "non libero", dato che esiste
software libero venduto sul mercato come qualsiasi altra merce o
servizio. 

E' anche necessario chiarire che la Proposta di cui parliamo non è
correlata in modo diretto all'ammontare del risparmio che può essere
direttamente ottentuo utilizzando software libero nelle istituzioni
dello Stato. Si tratta, in ogni caso, di un valore aggregato marginale,
che non rappresenta assolutamente il fulcro della Proposta. I principi
di base che ispirano la Proposta sono collegati alle garanzie
fondamentali di uno Stato di diritto, quali: 

Libero accesso da parte dei cittadini alle informazioni pubbliche. 
Persistenza dei dati pubblici. 
Sicurezza dello Stato e dei cittadini. 
Per garantire il libero accesso dei cittadini all'informazione pubblica,
è indispensabile che il formato dei dati non sia legato ad un unico
fornitore. L'uso di formati standard ed aperti offre la garanzia di tale
libero accesso, se necessario mediante la creazione di software libero
compatibile. 
Per garantire la permanenza dei dati pubblici, è necessario che
l'usabilità e la manutenzione del software non dipendano dalla volontà
dei fornitori, o dalle condizioni di monopolio da essi imposte. Per tale
motivo lo Stato ha necessità di sistemi lo sviluppo dei quali possa
essere garantito dalla disponibilità del codice sorgente. 

Per garantire la sicurezza nazionale, o sicurezza dello Stato, è
indispensabile potersi basare su sistemi privi di componenti che
consentano il controllo remoto a terze parti o la trasmissione
indesiderata di informazioni alle stesse. Sono cioè richiesti sistemi il
cui codice sorgente sia liberamente accessibile al pubblico per
consentire il loro esame da parte dello Stato stesso, e da parte di un
elevato numero di esperti indipendenti in tutto il mondo. La nostra
proposta consente una sicurezza ancora maggiore, perché la conoscenza
del codice sorgente eliminerà il crescente numero di programmi
contenenti *istruzioni spia*. 

Allo stesso modo, la nostra proposta rafforza la sicurezza dei
cittadini, sia nel loro ruolo di legittimi proprietari dell'informazione
gestita dallo Stato, sia in quello di consumatori. In questo secondo
aspetto, consentendo la crescita e la sempre maggiore diffusione di
software libero privo di *spyware* che potrebbe mettere a repentaglio la
riservatezza e la libertà degli individui. 

In tal senso, la Proposta si limita a stabilire le condizioni alle quali
le funzioni statali si procureranno il software in futuro, cioè in un
modo compatibile con quei tre fondamentali principi. 

Dalla lettura della Proposta sarà evidente che, una volta approvata: 

la legge non proibirà la produzione di software proprietario 
la legge non proibirà la vendita di software proprietario 
la legge non indicherà quale specifico software utilizzare 
la legge non imporrà il fornitore dal quale acquistare il software 
la legge non porrà limiti ai termini nell'ambito dei quali un prodotto
software potrà essere concesso in licenza. 
Ciò che la Proposta afferma chiaramente, è che, perché un software sia
accettabile per lo Stato, non è sufficiente che esso sia tecnicamente in
grado di effettuare le operazioni richieste, ma che, oltre alle
condizioni a contratto, esso deve soddisfare una serie di requisiti
riguardanti la licenza, mancando i quali lo Stato non può garantire un
adeguato trattamento dei propri dati, vigilando sulla loro integrità,
riservatezza e accessibilità nel tempo, dal momento che questi sono
aspetti molto critici per il suo normale operare. 
Siamo d'accordo, Sig. Gonzalez, sul fatto che la tecnologia
dell'informazione e della comunicazione hanno un impatto significativo
sulla qualità della vita dei cittadini (positivo o negativo). Siamo
anche assolutamente d'accordo sulla fondamentale importanza che i valori
di base che ho evidenzato sopra hanno in uno Stato democratico, come il
Perù. Perciò, siamo veramente interessati a conoscere altri modi di
garantire quei principi, modi diversi dall'uso di software libero nei
termini definiti dalla Proposta. 

E per quanto riguarda le Sue osservazioni, andremo ad analizzarle in
dettaglio. 

Innanzitutto, Lei osserva che: "1. La Proposta rende obbligatorio per
tutte le funzioni pubbliche utilizzare solo software libero, cioè
software open source, il che viola i principi di eguaglianza di fronte
alla legge, quelli di non discriminazione e il diritto di esercizio
dell'impresa privata, la libertà di produrre e di negoziare, protetta
dalla costituzione." 

Tale interpretazione è errata. La Proposta non limita assolutamente i
diritti che Lei elenca; essa si limita a stabilire condizioni per l'uso
del software da parte delle istituzioni statali, senza immischiarsi in
alcun modo nelle transazioni del settore privato. E' un principio
assodato che lo Stato non trae vantaggio dalla libertà contrattuale a
tutto campo consueta nel settore privato, perché lo Stato è sottoposto,
nel proprio agire, a limiti imposti dalla necessità di trasparenza degli
atti pubblici; e in tal senso, la difesa dell'interesse comune deve
prevalere quando si legifera in materia. 

La Proposta protegge l'uguaglianza di fronte alla legge, dato che
nessuna persona fisica o giuridica è esclusa dal diritto di offrire quei
beni allo Stato, sotto le condizioni definite nella Proposta stessa e
senza altre limitazioni che quelle stabilite dalla Legge dei Contratti
ed Acquisti conclusi dallo Stato (T.U.O. por Decreto Supremo No.
012-2001-PCM). 

La Proposta non introduce alcun tipo di discriminazione, dato che
stabilisce *come* i prodotti devono essere forniti (il che rinetra nei
poteri dello stato) e non *chi* li deve fornire (il che sarebbe
effettivamente discriminatorio, se venissero imposte esclusioni basate
sulla nazione d'origine, sulla razza, religione, ideologia, preferenze
sessuali, etc.). Al contrario, la Proposta è decisamente
antidiscriminatoria. Questo perché defininendo senza ambiguità le
condizioni per la fornitura di software, evita che le istituzioni
statali usino software coperto da licenze contenenti clausole
discriminatorie. 

Dovrebbe risultare ovvio dai due precedenti paragrafi che la Proposta
non nuoce all'imprenditorialità privata, dato che questa può sempre
scegliere a quali condizioni produrre software; alcune di queste saranno
accettabili per lo Stato, altre non lo saranno in quanto in
contraddizione con i fondamentali principi di cui si è detto. Tale
libera iniziativa è, naturalmente, compatibile con la libertà d'impresa
e di contrattazione (nella limitata misura in cui lo Stato può
esercitarla). Ogni soggetto privato può produrre software rispettando le
condizioni che lo Stato impone, o può non farlo. Nessuno è costretto ad
adottare un particolare modello di produzione, ma chi voglia fornire
software allo Stato deve anche fornire i meccanismi che garantiscono i
principi fondamentali, che sono quelli descritti nella Proposta. 

Facciamo un esempio: nulla nel testo della Proposta impedisce alla Sua
impresa di offrire alle istituzioni dello Stato una "suite" di programmi
per ufficio, alle condizioni determinate nella Proposta stessa e di
stabilire un prezzo ritenuto remunerativo. Se non lo fa, non è a casua
di restrizioni imposte dalla legge, ma a seguito di decisioni di
"business" relative al metodo di commercializzazione dei Suoi prodotti;
decisioni in cui lo Stato non è coinvolto. 

Di seguito, Lei osserva che: "2. La Proposta, rendendo obbligatorio
l'uso di software open source, stabilisce pratiche discriminatorie e
contrarie alla concorrenza nella contrattazione e nell'acquisto da parte
delle pubbliche istituzioni..." 

Questa affermazione è semplicemente una ripetizione della precedente,
perciò può trovare la risposta in quanto sopra. Tuttavia, occupiamoci
per un momento del suo commento riguardante le "pratiche ... contrarie
alla concorrenza". 

Naturalmente, nello stabilire una decisione di acquisto, il compratore
fissa condizioni che riguardano l'uso futuro del bene o servizio. Fin
dall'inizio ciò esclude alcuni produttori dalla possibilità di
competere, ma non li esclude "a priori", bensì piuttosto in base a un
insieme di principi determinati dalla volontà autonoma dell'acquirente;
perciò il processo si svolge secondo la legge. E nella Proposta si
stabilisce che *nessuno* è escluso dal competere, finché garantisce il
rispetto di quei tre principi di base. 

Inoltre, la Proposta *stimola* la competizione, dal momento che tende a
indurre la fornitura di software dotato di caratteristiche tecniche
sempre migliori, e a migliorare i prodotti esistenti, secondo un modello
di miglioria continua. 

D'altra parte, l'aspetto centrale della concorrenza sta nella
possibilità di fornire al consumatore scelte più convenienti. Ora, è
impossibile negare il fatto che il marketing non ha un ruolo neutrale
quando il prodotto è offerto sul mercato (dato che accettare la tesi
opposta condurrebbe a ritenere che le spese in marketing sostenute dalle
imprese siano del tutto prive di senso), e che dunque spese
significative in questa direzione possono influenzare le decisioni
dell'acquirente. 

Detta influenza del marketing è in larga misura ridotta dalla proposta
che noi sosteniamo, dal momento che la scelta, nel quadro proposto, è
basata sulle *caratterstiche tecniche* del prodotto e non sullo sforzo
impiegato dal produttore nella sua commercializzazione; in tal senso, la
concorrenza risulta accentuata, perché anche il più piccolo produttore
di software può competere ad armi pari con le multinazionali più
potenti. 

E' necessario sottolineare che non c'è posizione più anticompetitiva di
quella dei grandi produttori di software, che spesso abusano della loro
posizione dominante, dato che in innumerevoli situazioni propongono come
soluzione ai problemi degli utilizzatori: "aggiornate il software alla
nuova versione" (a spese dell'utente, naturalmente); inoltre, è comune
subire la cessazione arbitraria del supporto ai prodotti che, secondo il
parere unilaterale del fornitore, sono "vecchi"; di conseguenza, per
ottenere assistenza tecnica in una qualunque forma, l'utente si ritrova
costretto a migrare alle nuove versioni (con costi non trascurabili,
specialemente perché spesso sono coinvolti anche aggiornamenti della
piattaforma hardware). E dato che l'intera infrastruttura è basata su
formati proprietari dei dati, l'utente è "intrappolato" nella necessità
di continuare ad usare prodotti dello stesso fornitore, o di sostenere
lo sforzo enorme del passaggio ad un altro ambiente (probabilmente
proprietario anch'esso). 

Lei aggiunge: "3. Perciò, costringendo lo Stato a favorire un modello di
business basato interamente sull'open source, la Proposta semplicemente
scoraggerebbe i grandi produttori nazionali e internazionali, che sono
gli unici ad effettuare investimenti di reale importanza, gli unici a
creare un significativo numero di posti di lavoro diretti e indotti,
così come a contribuire al prodotto interno lordo, in contrasto con un
modello fondato sul software open source, che tende ad avere una
rilevanza economica sempre più debole, dato che crea posti di lavoro
soprattutto nel settore dei servizi." 

Non sono d'accordo con la Sua affermazione. In parte per quanto Lei
evidenzia nel paragrafo 6 della Sua lettera, circa il peso relativo dei
servizi nel contesto dell'utilizzo del software. Tale contraddizione
basterebbe, essa sola, a rendere fallace la Sua posizione. Il modello di
business del servizio, adottato da un gande numero di imprese
nell'industria del software, in termini economici, è molto superiore a
quello della cessione in licenza dei programmi, e tende a crescere. 

D'altra parte, il settore privato dell'economia ha la più ampia libertà
di scegliere il modello economico che meglio serve i suoi interessi,
anche se tale libertà di scelta è spesso offuscata subliminalmente dalle
spese sproporzionate in marketing effettuate dai produttori di software
proprietario. 

Inoltre, una certa interpretazione della Sua opinione porterebbe a
concludere che il mercato creato dai fabbisogni dello Stato è cruciale
ed essenziale per l'industria del software proprietario, a un punto tale
che la scelta effettuata dallo Stato in questa Proposta eliminerebbe
completamente il mercato per dette imprese. Se ciò è vero, possiamo
trarne che lo Stato sta sostenendo l'industria del software
proprietario. Nell'improbabile caso che ciò fosse vero, lo Stato avrebbe
il diritto di applicare il sostegno all'area considerata di maggior
valore sociale; è innegabile, in questa improbabile ipotesi, che se lo
Stato decidesse di fornire sostegno al software, dovrebbe farlo
scegliendo quello libero piuttosto che quello proprietario, in
considerazione degli effetti sociali che ciò avrebbe e della necessità
di spendere razionalmente il denaro dei contribuenti. 

Con riferimento ai posti di lavoro creati dal software proprietario in
Paesi come il nostro, si osserva che essi sono principalmente correlati
a mansioni tecniche di piccolo valore aggregato; a livello locale, i
tecnici che forniscono supporto al software proprietario prodotto da
compagnie multinazionali non hanno la possibilità di eliminare bachi,
non necessariamente per carenza di conoscenze tecniche o di capacità, ma
perché non hanno accesso al codice sorgente per correggerlo. Con il
software libero si crea una forza lavoro più qualificata dal punto di
vista tecnico e una infrastruttura di competenze libere, in cui il
successo è legato soltanto all'effettiva capacità di offrire un valido
supporto tecnico e un servizio di buona qualità, si stimola il mercato e
si incrementa la base di conoscenza condivisa, aprendo alternative alla
creazione di servizi di maggior valore globale e un maggiore livello di
qualità, a beneficio di tutti gli attori coinvolti: produttori,
fornitori di servizi e consumatori. 

E' un fenomeno comune, nei Paesi in via di sviluppo, il fatto che le
locali imprese produttrici di software ottengano la maggior parte dei
loro contratti nel settore dei servizi o nella creazione di software "ad
hoc". Perciò, ogni impatto negativo che l'applicazione della Proposta
potrebbe avere in questo settore sarà più che compensato da una crescita
della domanda di servizi (finché questi siano forniti con elevati
standard qualitativi). Se le multinazionali produttrici di software
decidono di non competere secondo queste queste nuove regole del gioco,
è probabile che subiranno una certa diminuzione dei ricavi derivanti dal
pagamento delle licenze; tuttavia, considerato che queste società
coninuano ad insinuare che gran parte del software usato dallo Stato è
rappresentato da copie illegali, si può vedere facilmente che l'impatto
non sarà particolarmente grave. Certo, in ogni caso il loro destino sarà
determinato dalle leggi di mercato, i cui cambiamenti non possono essere
evitati; molte imprese tradizionalmente legate al software proprietario
hanno già scelto la strada (col supporto di cospicui investimenti) di
fornire servizi nell'ambito del software libero, il che dimostra che i
due modelli non sono reciprocamente esclusivi. 

Con questa Proposta lo Stato stabilisce la necessità di preservare certi
valori fondamentali. E lo decide sulla base del proprio potere sovrano,
senza inficiare alcuna garanzia costituzionale. Se questi valori
potessero essere difesi senza dover scegliere un particolare modello
economico, gli effetti della legge sarebbero ancora più positivi. In
ogni caso, deve essere chiaro che lo Stato non sceglie un modello
economico; se accade che vi sia un solo modello economico in grado di
fornire del software che dia garanzie di base per quei principi, il
motivo dipende da circostanze storiche, non dalla scelta arbitraria di
un dato modello. 

La Sua lettera prosegue: "4. La Proposta impone l'uso di software open
source senza prendere in considerazione i pericoli che esso può
compportare dal punto di vista della sicurezza, delle garanzie e della
eventuale violazione dei diritti di proprietà intellettuale di terze
parti." 

Alludere in modo astratto "ai pericoli che esso può comportare", senza
descriverne in modo specifico anche uno solo, dimostra al minimo qualche
carenza nella padronanza dell'argomento. Perciò, mi permetta di
informarLa su tali punti. 

Circa la sicurezza: 

La sicurezza nazionale è già stata menzionata, in termini generali,
nella discussione iniziale dei principi basilari della Proposta. In
maggior dettaglio, relativamente alla sicuerzza del software stesso, è
noto che qualsiasi software (proprietario o libero) contiene errori o
"bachi" (nel gergo dei programmatori). Ma è altrettanto noto che nel
software libero vi sono meno bachi, e che sono corretti più rapidamente,
che nel software proprietario. Non è senza ragione che i responsabili
della sicurezza IT di numerosi dipartimenti statali nei paesi sviluppati
richiedono l'uso di software libero per le stesse ragioni di sicurezza
ed efficienza. 

Ciò che è impossibile dimostrare, è che il software proprietario sia più
sicuro di quello libero, senza la pubblica e trasparente analisi da
parte della comunità secientifica e degli utenti in genere. Detta
dimostrazione è impossibile perché il il modello di business del
software porprietario stesso impedisce quell'analisi, cosicché ogni
garanzia di sicurezza si fonda unicamente sulle promesse di buone
intenzioni (non dimostrate, ad ogni buon conto) fatte dal produttore
medesimo o dai suoi distributori. 

Bisogna ricordare che in molti casi, le condizioni di licenza includono
clausole di obbligo alla segretzza che impediscono all'utente di
rivelare pubblicamente le falle di sicurezza scoperte nel prodotto
proprietario avuto in licenza. 

Con riferimento alla garanzia: 

Come Lei sa perfettamente, o può scoprire leggendo l'Accordo di Licenza
per l'Utente Finale (EULA) dei prodotti che Voi date in licenza, nella
gran maggioranza dei casi le garanzie sono limitate alla sostituzione
del supporto su cui il prodotto è memorizzato, in caso di difettosità
del supporto stesso, ma in nessun caso è previsto un indennizzo per i
danni diretti o indiretti, perdite di profitti, etc... Se, come
conseguenza di un baco di sicurezza in uno dei Vostri prodotti, da Voi
corretto poco tempestivamente, un attaccante riuscisse a compromettere
sistemi informativi critici dello Stato, quali garanzie, indennizzi e
risarcimenti accorderebbe la Sua compagnia secondo le Vostre condizioni
di licenza? Le garanzie offerte dal software proprietario, in quanto i
programmi sono venduti con clausola "AS IS", cioè nello stato in cui si
trovano, senza ulteriori responsabilità del fornitore circa le
funzionalità promesse, non differiscono in alcun modo da quelle che di
norma accompagnano il software libero. 

Circa la proprietà intellettuale: 

Le questioni di proprietà intellettuale ricadono al di fuori della
portata di questa Proposta, dato che esse sono coperte da altre
specifiche leggi. Il modello del software libero non implica
assolutamente la possibilità di ignorare dette leggi, e infatti in ampia
maggioranza è coperto da copyright. In realtà, l'avere incluso tale
questione nelle Sue osservazioni dimostra che Lei ha idee confuse circa
il quadro legale nel quale viene sviluppato il software libero. La
pratica di includere la proprietà intellettuale di altri nelle opere
dichiarate proprie non è stata rilevata nella comunità del software
libero; invece, sfortunatamente, è stata colta nell'area del software
proprietario. Un esempio è la condanna da parte del Tribunale
Commerciale di Nanterre, Francia, del 27 settembre 2001, inflitta alla
Microsoft: una sanzione di 3 milioni di franchi in risarcimento di danni
e interessi, per violazione dei diritti di proprietà intellettuale
(pirateria, per usare il termine equivoco che la Sua ditta è solita
utilizzare nei comunicati pubblicitari). 

Lei prosegue poi dicendo: "La Proposta usa il concetto di software open
source scorrettamente, dal momento che esso non implica necessariamente
che il software sia libero o gratuito, giungendo così a conclusioni
equivocanti circa il risparmio che lo Stato potrebbe realizzare, senza
alcuna analisi costi-benefici per sostenere le proprie asserzioni." 

Questa osservazione è errata; in linea di principio, libertà e assenza
di costi sono concetti ortogonali: vi è software proprietario e costoso
(per esempio, MS Office), software proprietario e gratuito (MS Internet
Explorer), software libero e costoso (le distribuzioni Linux RedHat e
SuSE), software libero e gratuito (Apache, OpenOffice, Mozilla), e
perfino software che può essere licenziato in diverse combinazioni di
libertà e costo (MySQL). 

Di certo, il software libero non è necessariamente gratuito. E il testo
della Proposta non afferma che debba esserlo, come Lei scoprirà dopo
averla letta. Le definizioni incluse nella Proposta affermano con
chiarezza *cosa* debba essere cosiderato software libero, senza fare mai
riferimento alla gratuità. Benché sia menzionata la possibilità di
risparmiare sul pagamento di licenze per il software proprietario, il
significato di fondo della Proposta si fonda esplicitamente su quelle
garanzie basilari da salvaguardare e sull'incentivo allo sviluppo
tecnologico locale. 

Posto che uno stato democratico deve sostenere detti principi, esso non
ha altra scelta che usare software il cui codice sorgente sia
pubblicamente disponibile, e scambiare informazioni in formati standard.


Lo Stato, se non usa software con tali caratteristiche, indebolisce i
principi fondamentali della democrazia. Fortunatamente, il software
libero implica anche minori costi totali; tuttavia, se anche fosse
verificata l'ipotesi (facilmente confutabile) che esso sia più costoso
del software proprietario, la semplice esistenza di uno strumento,
implementato come software libero, efficace per una particolare
necessità tecnologica obbligherebbe lo Stato ad usarlo; non perché
imposto da questa Proposta, ma in ragione dei principi fondamentali che
abbiamo elencato in apertura, che scaturiscono dalla più profonda
essenza dello Stato democratico di diritto. 

Lei aggiunge: "6. E' sbagliato pensare che il software Open Source non
comporti costi. Una ricerca di Gartner Group (un importante osservatore
del mercato tecnologico, riconosciuto a livello mondiale) ha dimostrato
che il costo di acquisto del software (sistema operativo e applicazioni)
rappresenta solo l'8% del costo totale che le imprese e le istituzioni
sostengono per un uso razionale e concretamente vantaggioso della
tecnologia. Il restante 92% consiste di: costi di installazione,
attivazione, supporto, manutenzione, amministrazione e fermo del
sistema." 

Tale argomentazione ripete quanto già esposto nel paragrafo 5 e in parte
contraddice il paragrafo 3. Per brevità La rimando ai commenti a quei
due paragrafi. Tuttavia, mi permetta di sottolineare che la logica delle
Sue conclusioni è fallace: ammettendo che, d'accordo con Gartner Group,
il costo del software sia mediamente pari ad appena l'8% del costo
totale di utilizzo, non si potrebbe assolutamente negare l'esistenza di
software a prezzo zero, cioè non gravato da costi di licenza. 

Inoltre, in questo paragrafo, Lei evidenzia correttamente che i servizi
e il fermo di sistema costituiscono la maggior parte del costo totale
d'uso del software, il che, come può notare Lei stesso, contraddice il
modesto valore dei servizi suggerito nel paragrafo 3. Ora, l'uso del
software libero contribuisce in misura significativa a ridurre i
rimanenti costi legati al ciclo di vita. Tale riduzione dei costi di
installazione, supporto, etc. può essere osservata in diversi ambiti: in
primo luogo, il modello concorrenziale dei servizi, supporto e
manutenzione per il software libero, che possono essere liberamente
contrattati nell'ambito di un ampio ventaglio di fornitori in
competizione sulla qualità e sul prezzo. Ciò è vero per l'installazione,
l'attivazione, il supporto e, in larga parte, per la manutenzione. In
secondo luogo, grazie alle caratteristiche di ripetività ed omogeneità
del modello, la manutenzione effettuata su una applicazione è facilmente
riproducibile, senza incorrere in spese ingenti (cioè, senza pagare più
di una volta per la stessa cosa) dal momento che le modifiche, se lo si
desidera, possono entrare a far parte della base comune di conoscenze.
In terzo luogo, gli esorbitanti costi provocati dal software non
funzionante ("blue screens of death", codice malizioso come virus,
worms, cavalli di Troia, situazioni di errore, "general protection
faults" e altri problemi ben conosciuti) sono considerevolmente ridotti
dall'utilizzo di software più stabile; ed è noto che uno dei più
interessanti pregi del software libero è la sua stabilità. 

Lei, inoltre, afferma che: "7. Si può supporre che una delle
argomentazioni ispiratrici della Proposta sia l'assenza di costi del
software open source, confrontata con i costi del software commerciale,
senza però prendere in considerazione il fatto che esistono tipologie di
licenze per grandi utenti che possono rivelarsi assai vantaggiose per lo
Stato, come è avvenuto in altre nazioni." 

Ho già evidenziato che il punto non è il costo del software, ma i
principi di libertà dell'informazione, dell'accessibilità e della
sicurezza. 

Tali argomentazioni sono state ampiamente sviscerate nei paragrafi
precedenti, ai quali La rimando. 

D'altra parte, esistono certamente licenze per grandi utenti (benché
sfortunatamente il software proprietario non soddisfi quei principi di
base). Ma come Lei ha correttamente osservato nel paragrafo
immediatamente precedente della Sua lettera, esse si limitano a ridurre
l'impatto di un componente che assomma ad appena l'8% del totale. 

Lei prosegue: "8. Inoltre, l'alternativa scelta dalla Proposta (i) è
chiaramente più costosa, a causa degli elevati costi di migrazione e
(ii) mette a rischio la compatibilità e l'interoperabilità con le altre
piattaforme IT dello Stato, e tra lo Stato e il settore privato, date le
centinaia di versioni di software open source presenti sul mercato." 

Scomponiamo, per analizzarla, la Sua affermazione in due parti. La Sua
prima argomentazione, che la migrazione implica costi elevati, è, in
realtà, una ragione favorevole alla Proposta. Infatti, più passa il
tempo, più la migrazione ad altra tecnologia sarà difficile; e, allo
stesso tempo, i rischi di sicurezza connessi al software proprietario
continueranno a crescere. In tale ottica, l'uso di sistemi e formati
proprietari renderà lo Stato sempre più dipendente da fornitori
specifici. Una volta che si sia instaurata la politica di utilizzare
software libero (cosa che, sicuramente, implica dei costi), allora, al
contrario, la migrazione da un sistema ad un altro diventerà molto
semplice, dal momento che tutti i dati saranno memorizzati in formati
aperti. D'altra parte, la migrazione ad un contesto di software aperto
non implica costi superiori a quelli della migrazione tra due diversi
sistemi proprietari, il che confuta senza appello la sua affermazione. 

La seconda argomentazione si riferisce ai "problemi di interoperabilità
tra piattaforme IT dello Stato e tra lo Stato e il settore privato".
Tale affermazione implica qualche lacuna nella conoscenza del modo in
cui il software libero è realizzato, cioè evitando di creare dipendenza
dell'utente da una particolare piattaforma, come invece avviene di
solito nell'ambito del software proprietario. Anche laddove esistano
molteplici distribuzioni di software libero, e numerosi programmi che
possono essere utilizzati per lo stesso scopo, l'interoperabilità è
garantita, per quanto richiesto dalla Proposta, sia dall'utilizzo di
formati standard, sia dalla possibilità di creare software
interoperante, grazie alla disponibilità del codice sorgente. 

Lei, poi, afferma: "9. La maggior parte del codice open source non offre
adeguati livelli di servizio nè la presenza di una garanzia da parte
conosciuti produttori caratterizzati da alta produttività a vantaggio
degli utenti, cosa che ha spinto varie organizzazioni pubbliche a
ritrattare la propria decisione di affidarsi al software open source e
ad utilizzare software commerciale al suo posto." 

Tale osservazione è priva di fondamento. Con riferimento alla garanzia,
la Sua argomentazione è già stata confutata in risposta al paragrafo 4.
Con riferimento ai servizi di supporto, è possibile utilizzare software
libero facendone a meno (proprio come accade anche con il software
porprietario), ma chiunque ne abbia necessità può ottenere supporto
separatamente, sia da ditte locali che da imprese multinazionali, ancora
una volta proprio come nel caso del software porprietario. 

D'altra parte, rappresenterebbe un notevole contributo alla nostra
analisi, se Lei fosse in grado di darci informazioni circa progetti
coinvolgenti il software libero *effettivamente intrapresi* da organismi
pubblici e che siano già stati abbandonati a favore del software
proprietario. Noi siamo a conoscenza di un buon numero di casi in cui si
è verificato l'opposto, ma non ne conosciamo alcuno in cui sia accduto
ciò che Lei descrive. 

Lei prosegue osservando che "10. La Proposta demotiva la creatività
dell'industria peruviana del software, che fattura 40 milioni di dollari
USA all'anno, esporta per 4 milioni di dollari (decima posizione tra le
esportazioni di prodotti non tradizionali, più dei manufatti) ed è fonte
di impiego altamente qualificato. Con una legge che incentiva l'uso
dell'open source, i programmatori software perdono i diritti della loro
proprietà intellettuale e la loro fonte principale di reddito." 

E' chiaro a sufficienza, ormai, che nessuno è obbligato e
commercializzare i suoi programmi come software libero. La sola cosa da
tenere presente è che, se non è software libero, non può essere venduto
al settore pubblico. Il quale non è, in ogni caso, il mercato principale
per l'industria nazionale del software. Abbiamo già affrontato alcuni
aspetti relativi all'influenza della Proposta sulla creazione di posti
di lavoro, che potrebbero essere altamente e tecnologicamente
qualificati e con migliori condizioni per la concorrenza, perciò non
pare necessario insistere su questo punto. 

Ciò che segue nella Sua affermazione è scorretto. Da una parte, nessun
autore di software libero perde i suoi diritti di proprietà
intellettuale, a meno che egli non voglia espressamente donare la
propria opera al pubblico dominio. Il movimento del software libero è
sempre stato estremamente rispettoso della proprietà intellettuale, e ha
tributato un riconoscimento diffuso agli autori. Nome come quelli di
Richard Stallman, Linus Torvalds, Guido Van Rossum, Larry Wall, Miguel
de Icaza, Andrew Tridgell, Theo de Raadt, Andrea Arcangeli, Bruce
Perens, Darren Reed, Alan Cox, Eric Raymond, e molti altri, sono
conosciuti ovunque per il loro contributo allo sviluppo di software che
oggi è utilizzato da milioni di persone in tutto il mondo. D'altro
canto, dire che la ricompensa per i diritti d'autore costituisce la
principale fonte di compenso dei programmatori Peruviani, in ogni caso
significa tirare a indovinare, in particolar modo perché non vi è prova
di tale affermazione, nè una dimostrazione di come l'uso del software
libero da parte dello Stato influenzerebbe quei compensi. 

Lei prosegue dicendo che: "11. Il software open source, dal momento che
può essere distribuito senza il pagamento di un prezzo, non consente ai
suoi sviluppatori la creazione di reddito attraverso l'esportazione. In
tal modo, l'effetto moltiplicatore della vendita di software agli altri
paesi è attenuato, e così a sua volta lo è la crescita dell'industria,
mentre le regole istituite dal Governo dovrebbero, al contrario,
stimolare l'industria locale." 

Tale affermazione dimostra ancora una volta una completa ignoranza dei
meccanismi del mercato del software libero. Essa tenta di far passare
per vero che il mercato rappresentato dalla vendita di diritti di uso
non esclusivo (vendita di licenze) è il solo possibile per l'industria
del software, quando proprio Lei ha sottolineato, diversi paragrafi
sopra, che esso non è neppure il più importante. Gli incentivi che la
Proposta offre alla crescita di un'offerta di professionisti più
qualificati, insieme con la crescita di esperienza che lavorare su larga
scala con il software libero nell'ambito dello Stato porterà ai tecnici
Peruviani, li collocherà in una posizione di elevata competitività per
offrire i loro servizi all'estero. 

Poi Lei afferma che: "12. L'uso del software libero nel settore della
formazione è stato discusso senza fare menzione del collasso totale che
tale iniziativa ha subito in un Paese come il Messico, dove proprio i
funzionari statali che avviarono il progetto ora affermano che il
software open source non ha reso possibile offrire una occasione di
apprendimento agli allievi delle scuole, rivelandosi insufficiente la
capacità, a livello nazionale, di fornire adeguato supporto alla
piattaforma, e che esso non ha permesso e non permette tuttora di
raggiungere il livello di integrazione che adesso esiste tra le scuole."


E' vero che il Messico ha fatto "retromarcia" con il progetto Red
Escolar (School Networks). Ma ciò è dovuto, per la precisione, al fatto
che la spinta al progetto messicano era data in massima parte del costo
delle licenze, piuttosto che dalle altre motivazioni indicate nel nostro
progetto, che sono di gran lunga più essenziali. A causa di tale
equivoco concettuale, e quale risultato della carenza di un supporto
efficace da parte della Segreteria di Stato per la Pubblica Istruzione,
fu fatta l'assunzione che installare software libero nelle scuole
sarebbe stato di per sè sufficiente per tagliare il budget per il
software e limitarsi invece ad inviare loro un CD ROM di Gnu/Linux.
Naturalmente fu un fallimento, e non avrebbe potuto essere altrimenti,
proprio come l'istituzione di laboratori scolastici fallisce quando
viene utilizzato software proprietario in assenza di un budget per le
implementazioni e la manutenzione. Questo è esattamente il motivo per
cui la nostra Proposta non si limita a rendere obbligatorio l'uso del
software libero, ma evidenzia la necessità di stabilire un piano di
migrazione percorribile, nel quale lo Stato intraprende la transizione
tecnologica attraverso un percorso prestabilito per poter poi godere dei
vantaggi offerti dal software libero. 

Lei chiude poi con una domanda retorica: "13. Se il software open source
soddisfa tutte le necessità degli organismi statali, perché avete
bisogno di una legge per adottarlo? Non dovrebbe essere il mercato a
decidere liberamente quali prodotti offrono i maggiori benefici o il
maggior valore aggiunto?" 

Concordiamo sul fatto che, nel settore privato dell'economia, deve
essere il mercato a decidere quali prodotti usare, e che in tale
contesto non è ammissibile alcuna interferenza da parte dello Stato.
Tuttavia, nel settore pubblico, il modo di ragionare non è lo stesso:
come abbiamo già dimostrato, lo Stato archivia, elabora e trasmette
informazioni che non gli appartengono, ma sulle quali ha la delega dei
cittadini, che non hanno alternative in quanto si tratta di una norma di
legge. Come contropartita di questo obbligo legale, lo Stato deve
assumere misure estreme per salvaguardare l'integrità, la riservatezza e
l'accessibilità delle informazioni. L'uso di software proprietario
solleva seri dubbi sul fatto che dette necessità possano essere
soddisfatte e manca di prove definitive al riguardo; per questo non è
utilizzabile nel settore pubblico. 

La necessità di una legge si fonda, in primo luogo, sulla necessità di
realizzare i fondamentali principi sopra elencati nell'area specifica
del software; in sendo luogo, sul fatto che lo Stato non è una entità
omogenea ideale, ma si compone di molteplici organismi dotati di
differenti livelli di autonomia decisionale. Dato che è inappropriato
utilizzare software proprietario, lo stabilire queste regole per legge
evita che la discrezionalità personale del singolo funzionario statale
metta a repentaglio le informazioni che appartengono ai cittadini. E,
soprattutto, rappresentando una aggiornata normativa circa i mezzi di
gestione e comunicazione utilizzati oggigiorno, essa si fonda sul
principio democratico dell'apertura alla collettività. 

In conformità con tale principio, universalmente accettato, il cittadino
ha il diritto di accedere a tutte le informazioni conservate dallo Stato
e non coperte da fondate esigenze di segretezza, le quali sono stabilite
per legge. Ora, il software tratta informazioni ed è esso stesso
informazioni. Informazioni in un formato speciale, che può essere
interpretato da una macchina per eseguire istruzioni, ma in ogni caso
informazioni di importanza cruciale, perché il cittadino ha il diritto
di sapere come il suo voto verrà elaborato, o come saranno calcolate le
sue tasse. E, a questo scopo, egli deve avere libero accesso al codice
sorgente ed essere in condizione di esaminare a piacimento i programmi
utilizzati per gli scrutini elettorali o per il calcolo delle sue tasse.


Le porgo i miei rispetti, e tengo a ribadire che il mio ufficio sarà
sempre aperto per Lei, qualora desiderasse esporre il suo punto di
vista, al livello di dettaglio da Lei ritenuto più appropriato. 

Cordialmente, Dr. Edgar David Villanueva Nuñez
Parlamentare della Repubblica del Perù. 





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