[PLUTO-soci] Brevetti e software, le riserve di Stanca
Marco Marongiu
bronto a tiscali.com
Mer 9 Mar 2005 13:45:12 CET
<http://www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2005/03_Marzo/09/brevetti.shtml>
09 marzo 2005
Il voto del parlamento europeo e l'astensione dell'Italia
Brevetti e software, le riserve di Stanca
Il ministro dell'Innovazione: «Una brevettazione troppo spinta rischia
seriamente di trasformarsi in un freno all’innovazione»
Il ministro italiano dell’innovazione, Lucio Stanca, ha voluto
commentare la recente decisione del parlamento europeo di procedere con
la Direttiva sulla brevettabilità del software, in spregio della
opinione reiterata dell’Europarlamento di rivedere quella decisione. Il
commento del ministro è leggibile sul sito Punto Informatico: «Brevetti
software: un nodo da sciogliere».
Il ministro conferma le riserve del nostro paese rispetto a quella
decisione (l’Italia si è astenuta) e auspica un miglioramento del testo,
in seconda lettura al parlamento, miglioramento tuttavia che lui stesso
sa non essere molto probabile. Il punto di interesse del ragionamento
del ministro sta in questo: tutta la materia evolve, le precedenti
regole più non tengono e non risultano praticabili e soprattutto c’è
software e software e se lo si vuole proteggere non tutto tuttavia va
brevettato alla stessa maniera. Lo stesso ministro segnala di fatto che
una brevettazione troppo spinta rischia seriamente di trasformarsi in un
freno all’innovazione, anziché in uno stimolo. La migliore conferma la
si trova in un libro recentemente pubblicato in America da parte di due
economisti, Adam Jaffe della Brandeis University e Josh Lerner della
Harvard Business School.
Essi sostengono che le cause legali frivole sui brevetti stanno creando
una tassa invisibile (ma assai corposa) sui prodotti tecnologici I
brevetti frivoli sono quelli che non dovrebbero mai essere accordati,
perché non sono nuovi, perché si riferiscono a conoscenze e pratiche già
ampiamente diffuse, perché servono soltanto come arma “estorsiva” nei
confronti della concorrenza. I casi più noti sono quelli della Sco, che
da due anni sta cercando di rivendicare una sua proprietà intellettuale
sul sistema operativo aperto Linux, e quello della Eolas che ha cercato
di farsi riconoscere dalla Microsoft la titolarità di un banale sistema
per allacciare i plug in (dei software accessori) ai programmi per
navigare in rete.
Il ragionamento sui brevetti come freno all’innovazione non è nuovo, ma
l’interesse di questo saggio si concentra soprattutto in tre figure
sconvolgenti: sono i grafici che rappresentano il numero di domande
presentate al Patent Office, il numero di domande accolte e il numero di
cause legali. Tutte e tre queste curve salgono gradualmente nel tempo,
ma si impennano ripidissime verso l’altro a partire dai primi anni ’80.
Secondo i due studiosi questo è l’effetto di alcune decisioni
apparentemente minori prese nel 1982 e nel 1990 dal Congresso americano.
La prima fu quella di concentrare in un unico tribunale tutte le cause
relative ai brevetti che in precedenza erano trattate per competenza da
diversi tribunali del paese. Il motivo era di favorire una politica
giudiziaria coerente, evitando pronunciamenti troppo difformi tra l’una
e l’altra corte, che generavano una situazione di grande incertezza.
La seconda decisione, anch’essa apparentemente ragionevole, era di
ridurre i finanziamenti all’Ufficio Brevetti e di spingerlo ad
autofinanziarsi, anche grazie a un aumento dei “fee” dovuti per il
deposito e la registrazione. Malauguratamente entrambe le decisioni
hanno avuto effetti micidiali. La corte specializzata (U.S. Court of
Appeals for the Federal Circuit) rivelò ben presto una evidente tendenza
aprioristicamente favorevole nei confronti dei detentori dei brevetti,
anche quando si trattava di brevetti assai ambigui e discutibili.
Contemporaneamente il Patent Office, incentivato finanziariamente a
rilasciarne molti, si dimostrò di manica larga, anzi larghissima.
Il messaggio combinato di queste due pratiche fu dunque di spingere
molte industrie a brevettare a vanvera, sentendosi sufficientemente
sicure che in tal modo avrebbero facilmente acquisito un’arma
competitiva verso i concorrenti.
Il risultato finale è chesolo i gruppi più grandi possono permettersi di
accumulare un portafoglio ricco di brevetti e di difenderlo con i propri
avvocati. Questo patrimonio costituisce una barriera per ogni piccolo
innovatore e potenziale concorrente che di solito non è in grado né di
pagare le royalties della licenza, né di sostenere eventuali spese
legali, se citato in giudizio per violazione del brevetto altrui. I
grandi gruppi infine, sia quelli della microelettronica che quelli del
software, sovente usano i loro brevetti per costituire dei cartelli di
fatto, anche quando vietati dalla legge.
Il sistema è quello delle licenze incrociate, grazie alle quali due
soggetti si autorizzano reciprocamente a usare i brevetti dell’altro e
si riservano di decidere assieme a chi tra i competitori concedere la
licenza. I casi sono numerosi e tutti dovrebbero incitare a una seria
riforma del sistema dei brevetti, in America come in Europa.
Franco Carlini
--
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