[PLUTO-ildp] Mi presento ed entro in polemica

Paolo Palmieri palmaway a gmx.it
Mer 10 Giu 2009 09:04:44 CEST


> No ma, adesso questo argomento sta diventando vizioso. Io mi auto-modero 
> uscendo da questo thread: non rispondo più in questo filone :-).

Meditavo di fare altrettanto, rinunciando però ad annunciare 
pubblicamente un successivo silenzio, cosa che mi è sempre parsa, 
seppure certamente legittima, non molto elegante. Ho trovato tuttavia il 
tempo di fare qualche ricerca in merito, per puro interesse personale, e 
mi permetto di riportare qui qualche risultato, con la speranza possa 
essere di utilità per qualcuno. Se non altro, lo è stato per me.

Lascio dunque la parola a chi ben più di me può esprimersi su questioni 
di lingua.

«Ogni lingua infatti è un composto di vocaboli e di modi di dire, che si 
possono mutare, dal primo fino all'ultimo, e si vanno effettivamente 
mutando, a poco a poco, s'intende. E nondimeno ogni lingua è una; tanto 
che può avere e ha un suo nome proprio, con cui si distingue dall'altre. 
E perché ciò possa avvenire, come avviene, è di stretta necessità, che 
in tutti gli elementi che compongono una lingua, ci sia, in ogni suo 
momento, qualcosa d'identico, che costituisca una tale unità, e sia un 
mezzo di riconoscere e d'affermare logicamente che un vocabolo o un modo 
di dire qualunque appartiene a una data lingua, e di far quindi una 
compita raccolta, di tutti, per quanto è possibile; e questo qualcosa è 
appunto l'Uso, e null'altro che l'Uso.»
Manzoni, Appendice alla relazione intorno all'unità della lingua, 1869

«Conservare la purità della lingua è un'immaginazione, un sogno, 
un'ipotesi astratta, un'idea, non mai riducibile ad atto, se non 
solamente nel caso di una nazione che, sia riguardo alla letteratura e 
alle dottrine, sia riguardo alla vita, non abbia ricevuto nulla da 
alcuna nazione straniera. La greca, per una stranissima combinazione di 
circostanze, si trovò, dopo la formazione della sua lingua e 
letteratura, per lunghissimo spazio di tempo, nel detto caso. Essa 
nazione greca (se non vogliamo associarvi la chinese) è fra le nazioni 
civili la cui storia sia conosciuta, il solo esempio reale di un caso 
siffatto, e la lingua greca è altresì la sola lingua colta che abbia per 
lungo spazio conservata una vera ed effettiva purità. La lingua latina 
fu impura tosto che divenne colta e letteraria. L'italiana fu 
impurissima nel suo stesso nascere come lingua scritta, piena di 
provenzalismi e di francesismi: poi, per la rara circostanza che 
l'Italia, divenuta maestra e lume e fonte alle altre nazioni, si trovò, 
come la Grecia, nel caso di non ricever nulla di fuori, essa lingua 
conservò una certa purità; finchè mutata (anzi ridotta all'opposto) la 
circostanza, essa divenne nuovamente, e rimane, impurissima. Alle 
nazioni presenti e future (e all'italiana soprattutto) durando il 
presente stato reciproco delle nazioni e delle letterature, la purità 
della lingua, presupposto che di questa lingua le nazioni vogliano far 
uso, è cosa immaginaria e impossibile.»
Leopardi, Zib. 4425, 5 Dicembre 1828

«Per le quali considerazioni e confronti, sebbene la lingua italiana di 
questo secolo sia bruttissima e pessima per ragioni e qualità 
indipendenti dalla purità e dal barbarismo, cioè perchè povera, 
monotona, impotente, fredda, inefficace, smorta, inespressiva, 
impoetica, inarmonica ec. ec. nondimeno ardisco dire che se gli 
scrittori barbari della moderna Italia, arriveranno ai posteri, quando 
la lingua italiana sarà già in qualunque modo mutata dalla presente, e 
se [2518]la prevenzione (che influisce moltissimo sopra il senso 
dell'eleganza e del bello in ogni cosa) e il giudizio del secol nostro 
non avrà troppa forza ne' futuri, come non l'ha in noi il giudizio de' 
cinquecentisti, questa nostra barbara lingua, si stimerà elegante, e 
piacerà, perchè divenuta già pellegrina, e forse il Cesarotti ec. 
passerà per modello d'eleganza di lingua.»
Leopardi, Zib. 2517-8, 29 Giugno 1822

Paolo

«Verum enim invenire volumus, non tanquam adversarium aliquem convincere.»
Cic. de Fin., Lib. I.



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