[PLUTO-ildp] La professione di traduttore di software
Giuseppe Briotti
g.briotti a gmail.com
Lun 25 Maggio 2009 17:30:38 CEST
2009/5/25 Giulio Daprelà <giulio a pluto.it>
>
> Concordo con te quando dici che noi siamo troppo esterofili e tendiamo ad
> adottare troppo facilmente parole straniere, ma bisogna anche dire che
> traducendo ogni termine diventa molto difficile poi capirsi fra persone di
> nazionalità diverse. Se a un francese detti la tua email e non sai che loro
> il simbolo @ lo chiamano "arobase" non riesci a farti capire (questo anche
> perché secondo me fanno finta di non capirti se non usi i loro termini).
> Quindi per la terminologia tecnica io sono per un giusto compromesso. I
> termini molto specifici è meglio valutare se tenerli in inglese anche se
> una
> traduzione esisterebbe.
> D'altra parte nel mondo della musica sono in uso da secoli i termini
> italiani in tutto il mondo ma gli inglesi non ci hanno fatto una crociata e
> li hanno accettati. I musicisti di qualunque nazione siano quando leggono
> lo
> spartito trovano sempre la stessa terminologia, e in un'orchestra non hanno
> bisogno di mettersi d'accordo sul significato di quello che leggono.
>
> --
> Giulio
>
Non dimenticare che nel caso della musica però, l'adozione della notazione
con
i termini italiani è anche legata al fatto che Ricordi è stato anche un ente
di
standardizzazione oltre che inventore del principio che vede l'editore come
riscossore dei diritti di autore ;-)
E del resto, se prendi una notazione anglosassone moderna, la sequenza
A,B,C,D,E,F,G è ampiamente utilizzata...
E poi, @ è latino... :-)
G.
--
Giuseppe Briotti
g.briotti a gmail.com
"Alme Sol, curru nitido diem qui
promis et celas aliusque et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius."
(Orazio)
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